Il processo penale, la condanna e il risarcimento del danno
Se è vero che chi rompe paga, a maggior ragione è vero che chi commette un reato deve anche risarcire le conseguenze del suo misfatto. Facile sarebbe altrimenti cavarsela con un processo penale che quasi sempre si conclude con la prescrizione o, magari, con una sanzione pecuniaria di poche migliaia di euro. E così, oltre alla pena, ci sono anche gli effetti civili scaturenti dalla propria condotta o, che dir si voglia, i danni provocati alla vittima. Ecco che allora, per fare prima, il codice ha previsto la costituzione di parte civile , un modo che ha la parte lesa per partecipare al processo penale e ottenere un anticipo sul risarcimento, la cosiddetta “ provvisionale ”, in attesa poi di avere il resto con una causa autonoma dal giudice civile. Il risarcimento del danno in caso di reato funziona proprio così. E non fanno eccezione neanche i reati commessi ai danni della propria ex moglie o dei figli cui non sia stato versato l’ assegno di mantenimento . A spiegare esattamente come vanno le cose è la sentenza del tribunale di Roma [1] .
Violazione degli obblighi di assistenza familiare
Commette reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare la persona che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori o al coniuge. La pena prevista è, congiuntamente, quella della reclusione fino ad un anno e della multa da 103 a 1.032 euro. Il reato è perseguibile a querela, ma quando è commesso a danno di minori diventa procedibile d’ufficio.
Il genitore può far mancare i mezzi ai figli minorenni o inabili al lavoro. La tutela riguarda anche i figli adottivi e, si ritiene, anche il minore in stato di affidamento. Si discute quando i figli possano essere definiti “inabili al lavoro”, la Cassazione nega che tali possano considerarsi i figli maggiorenni studenti, mentre la giurisprudenza di merito, almeno in un caso, sostiene che con tale espressione il legislatore faccia riferimento anche alla condizione di disoccupazione involontaria (Pret. Lecce 5 aprile 1996);
Il coniuge può far mancare tali mezzi all’altro coniuge, anche se è intervenuta separazione, purché la separazione non gli sia stata addebitata con sentenza passata in giudicato. Per il coniuge divorziato, invece, sono previsti altri strumenti a condizione che a suo favore sia stato disposto il pagamento di un assegno;
Perché si configuri il reato, devono sussistere i seguenti elementi:
Si può avere il risarcimento del danno se non si paga il mantenimento?
In caso di omesso pagamento dell’assegno di mantenimento, l’ex moglie ha diritto ad ottenere il risarcimento anche dei danni morali subiti. Così ha affermato il tribunale di Roma. Ma quali danni morali ? La madre che si trova senza soldi per mandare avanti la famiglia e i figli subisce uno stato di ansia e preoccupazione, un turbamento psichico transitorio e soggettivo conseguente proprio al fatto di reato. Viene dunque a concretizzarsi il danno morale risarcibile in presenza di reato.
note
[1] Trib. Roma, sent. n. 17144/18 del 12.09.2018.
Tribunale di Roma, sez. I Civile, sentenza 11 – 12 settembre 2018, n. 17144
Giudice Ciani
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente e tempestivamente notificato, (omissis…) in proprio e in qualità di genitore esercente la responsabilità sui figli (all’epoca tutti minorenni) (omissis…) (tale dovendosi intendere la dicitura “anche in nome e per conto dei figli …” di cui all’epigrafe dell’atto di citazione), conveniva in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale, l’ex coniuge (omissis…) per ivi sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti per la violazione degli obblighi di mantenimento oltre che per la lesione della sua dignità e del suo onore, nella misura di Euro 64.000,00 o nella diversa misura ritenuta di giustizia.
Premesso di aver contratto matrimonio con (omissis…) il 29 novembre 1997 e che in costanza di matrimonio erano nati quattro (omissis…), deduceva l’attrice che con sentenza n. 18491 del 2012 il Tribunale di Roma pronunciava lo scioglimento del matrimonio contratto tra le parti ponendo a carico del l’obbligo di corrisponderle a titolo di assegno divorzile la somma mensile di Euro 1000,00 e a titolo di contributo per il mantenimento dei figli con lei conviventi la ulteriore somma mensile di Euro 2,000.00 a far data dall’ottobre 2012, oltre al 50% delle spese straordinarie afferenti i figli; che con decreto del 12 dicembre 2014 il medesimo Tribunale modificava le ridette condizioni ponendo a carico del convenuto l’obbligo di corrispondere all’istante la somma mensile di Euro 600,00 a titolo di assegno divorzile e la somma mensile di Euro 350,00 per ciascuno dei figli (omissis…) nonché di provvedere direttamente al mantenimento della figlia (omissis…) che il (omissis…) si era reso sistematicamente inadempiente a tali obblighi di mantenimento nonché a quello di corrispondere il canone di locazione dell’immobile abitato dalla medesima e dai figli, il cui relativo contratto era stato sottoscritto da entrambi, di talché la stessa aveva ricevuto intimazione di sfratto per morosità; che, inoltre, il (omissis…) aveva posto in essere condotte lesive della dignità e dell’onore dell’attrice, offendendola e minacciandola financo di morte; in ragione di ciò la stessa esponente aveva sporto denuncia nei confronti del (omissis…) ed aveva intrapreso azione esecutiva per il recupero dell’ingente credito vantato nei confronti del medesimo; che, infine, tale situazione aveva cagionato all’istante un danno morale quantificabile in Euro 2000,00 per ogni mese di inadempimento a decorrere dall’ottobre 2012.
Non si costituiva in giudizio, sebbene ritualmente evocato, (omissis…) che veniva, pertanto, dichiarato contumace.
Acquisita la documentazione prodotta dall’attrice e sentito il teste (omissis…), all’udienza del 6 giugno 2018 il giudice tratteneva la causa in decisione con termine di giorni sessanta per il deposito della comparsa conclusionale.
La domanda attorea è fondata e merita di essere accolta nei limiti di seguito esposti.
Premesso che è onere del convenuto provare l’adempimento delle obbligazioni sul medesimo gravanti in virtù della sentenza di scioglimento del matrimonio tra le parti (Trib. Roma, n. 18491 del 2012 – doc. all. n. 1 all’atto di citazione), come successivamente modificata con decreto dell’intestato Tribunale del 23 dicembre 2014 (doc. all. n. 2 all’atto di citazione), onere non assolto essendo il (omissis…) rimasto contumace, mette conto evidenziare che l’inadempimento di quest’ultimo agli obblighi di mantenimento dei tigli e di corresponsione dell’assegno divorzile all’ex coniuge è comprovato dal contenuto dei messaggi prodotti dall’attrice (doc. all. n. 3 all’atto di citazione), contenenti anche minacce, nonché dall’atto di pignoramento presso terzi notificato dalla (omissis…) successivamente alla notifica, l’8 agosto 2014, dell’atto di precetto per il mancato pagamento dell’assegno divorzile e dell’assegno di mantenimento per i figli da ottobre 2012 a giugno 2014 (doc. all. n. 6 all’atto di citazione).
Orbene, a norma dell’art. 12 sexies della legge n. 898 del 1970 e successive modificazioni “Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 c.p.”, norma che prevede e punisce il delitto di “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”.
A ciò aggiungasi che l’unico teste escusso nel corso del giudizio, (omissis…) carabiniere, compagno dell’attrice, ha confermato che l’attrice ha ricevuto sul cellulare più volte e almeno in data 22 luglio 2013 e 13 ottobre 2013 messaggi di minaccia di farla morire di fame da parte del (omissis…) a seguito dei quali la stessa aveva attacchi di panico.
Alla stregua delle illustrate emergenze istruttorie deve correttamente ritenersi che la condotta posta in essere dai convenuto integra gli estremi del reato di cui all’art. 12 sexies cit. oltre che del delitto di minaccia (art. 612 c.p.c.) e che trattasi di condotte idonee ad ingenerare nella vittima uno stato di ansia e preoccupazione, un turbamento psichico transitorio e soggettivo conseguente proprio al fatto di reato, come, peraltro, confermato nel caso specifico dal teste escusso, turbamento in cui si sostanzia il così detto danno morale, risarcibile a mente del disposto dell’art. 2059 c.c. in presenza di un reato anche se accertato incidentalmente.
Tale pregiudizio non può che essere liquidato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. e tenuto conto della gravità dei fatti e delle illustrate emergenze istruttorie nonché del protrarsi negli anni della condotta del convenuto che, oltre a costringere l’attrice ad agire esecutivamente, l’ha anche esposta unitamente ai figli ad uno sfratto per morosità, appare equo quantificarlo in complessivi Euro 20.000,00 attuali (Euro 5.000.00 in favore dell’attrice e di ciascuno dei tre figli in nome dei quali la stessa ha agito).
Su tale somma, liquidata all’attualità e già rivalutata, decorrono e sono dovuti gli interessi legali a far data dalla pubblicazione della presente sentenza.
Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e dovranno essere corrisposte dal (omissis…) all’erario ai sensi dell’art. 133 del D.P.R. 115 del 2002, stante l’ammissione dell’attrice al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
P. Q. M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa civile in primo grado iscritta al n. 40592/2015 R.G.A.C., disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, così decide:
condanna il convenuto al pagamento, in favore di (omissis…) per i titoli di cui in parte motiva, della somma di Euro 20,000,00, oltre interessi legali a far data dalla pubblicazione della presente sentenza;
condanna il convenuto al pagamento, in favore dell’erario, delle spese di lite liquidate in complessivi Euro 2,417,50 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettarie (15%) come per legge.
Roma, 11 settembre 2018.
Niccolò Magnani
L'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni
Cessazione dell'obbligo di mantenimento
La soglia di età
La cessazione del dovere secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione con ordinanza 12 aprile 2016, n. 7168 sancisce che il dovere dei genitori di mantenere i figli maggiorenni cessa a seguito del raggiungimento, da parte di quest'ultimi, di una condizione di indipendenza economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta.L'entità dell'assegno di mantenimento
Responsabilità penale per omesso versamento
Con una recente sentenza ( sentenza n. 23601/2017
), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute sulla questione se, in tema di contratti di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, nell'ipotesi di tardiva registrazione del contestuale e separato accordo recante l'importo del canone maggiorato rispetto a quello indicato nel primo contratto registrato, sia configurabile un'ipotesi di sanatoria di tale nullità, e quindi hanno affrontato la questione se, pur al di là ed a prescindere dalla violazione dell'art. 79 della l. n. 392 del 1978, anche per i contratti di locazione ad uso diverso da abitazione debba farsi - in ipotesi di atti negoziali integranti un mero escamotage per realizzare una finalità di elusione fiscale - applicazione del principio affermato nella citata sentenza del S.U., 17 settembre 2015, n. 18213, con riferimento ai contratti di locazione ad uso abitativo.
La legge, come noto, impone che il contratto di affitto a uso abitativo sia non solo scritto, ma anche registrato presso l'Agenzia delle Entrate. In caso contrario il contratto è nullo. Pertanto, che succede in caso di omessa registrazione di affitto a uso commerciale?
Il contratto di locazione di immobili, sia ad uso abitativo che ad uso diverso, contenente "ab origine" l'indicazione del canone realmente pattuito (e, dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell'art. 1, co. 346, della L. n. 311 del 2004, ma, in caso di tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza "ex tunc", atteso che il riconoscimento di una sanatoria "per adempimento" è coerente con l'introduzione nell'ordinamento di una nullità (funzionale) "per inadempimento" all'obbligo di registrazione.
In tema di locazione immobiliare per uso non abitativo, quindi, la mancata registrazione del contratto si pone in contrasto con la legge secondo cui: i «contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Il contratto è dunque nullo per violazione di norme imperative. Tuttavia, è possibile sanare la nullità con una registrazione tardiva del contratto stesso. La registrazione tardiva non solo regolarizza le parti da un punto di vista fiscale (le sanzioni per l'evasione fiscale sono infatti ridotte se la registrazione avviene entro un anno, grazie al meccanismo del ravvedimento operoso), ma anche "mette in salvo" il contratto da tutte le conseguenze civilistiche della nullità. Il che significa che per le annualità/mensilità in cui il contratto non è stato registrato non è più possibile chiedere la restituzione dei canoni di locazione. La registrazione, dunque, anche se avviene in ritardo rispetto al termine di legge (30 giorni dalla data di stipula del contratto) ha effetto "retroattivo" e sana il contratto che, altrimenti, sarebbe stato nullo e non avrebbe prodotto alcun effetto. Il contratto è valido anche per il periodo anteriore alla registrazione, periodo che altrimenti sarebbe stato affetto da nullità.
E' nullo invece il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità "vitiatur sed non vitiat", con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione.
La sanzione di nullità sancita dall'art. 79 della L. n. 392 del 1978, tradizionalmente intesa come volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste "in itinere" e diverse da quelle consentite "ex lege", deve, invece, essere letta nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto.
In definitiva, la mancata registrazione del contratto di locazione di immobili è causa di nullità dello stesso; il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente; è invece nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione.
In materia di sinistro stradale, il trasportato di un veicolo non assicurato può chiedere il risarcimento del danno al fondo di garanzia anche avvalendosi del regime di responsabilità di cui all’art. 141 del codice delle assicurazioni private e, quindi, senza alcuna esigenza di provare la genesi del danno. Il Tribunale di Foggia, in persona del Magistrato Dott. Vincenzo De Palma, con sentenza n. 227/2018, pronunziata il 13 settembre 2018, nel contesto di una controversia in materia di risarcimento del danno da sinistro stradale, ha fissato tre importanti principi di diritto in relazione a problematiche che, seppur differenti fra di loro, tendono a ricorrere congiuntamente con una certa frequenza in cause di questo genere.
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La prima affermazione riguarda il diritto del soggetto trasportato in un veicolo privo di copertura assicurativa di esigere il risarcimento del danno nei confronti del fondo di garanzia per le vittime della strada, purché inconsapevole che il mezzo motorizzato stesse circolando illegalmente. Si discute dell’ipotesi in cui il danneggiato non sia trasportato contro la sua volontà, ma, pur avendo fatto liberamente accesso sull’abitacolo, non sia edotto della mancata assicurazione dell’autoveicolo.
Per giungere a tale conclusione, il giudice propone un’interpretazione dell’art. 283, 1° comma, del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (c.d. Codice delle assicurazioni private), contenente il catalogo dei danni suscettibili di attivare la tutela risarcitoria del fondo di garanzia, in combinato disposto con l’art. 141, che consente al danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’impresa di assicurazione del veicoli in cui viaggiava.
L’art. 283, comma 1, del codice delle assicurazioni private, se letteralmente interpretato, non sembra autorizzare la proposizione di domande risarcitorie contro il fondo di garanzia da parte del soggetto trasportato su un motoveicolo non assicurato che intenda esercitare l’azione diretta di cui all’art. 141.
Più precisamente, l’art. 283, comma 1 , lett. b), nell’assegnare al fondo di garanzia l’obbligo di risarcire i danni causati dalla circolazione di mezzi non assicurati, include chiaramente l’ipotesi in cui la responsabilità di questi ultimi sia predicata ai sensi dell’art. 2054 c.c., ma nulla testualmente dispone con riferimento all’evenienza in cui essa sia predicata alla stregua dell’art. 141 c.p.a..
Infatti, le due fattispecie normative di imputazione dell’ obbligazione risarcitoria (art. 2054 ed art. 141 c.a.p.) sono sensibilmente differenti, in quanto la prima si fonda su una sorta di presunzione di colpa, superabile con la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (da ultimo: Cass. civ. sez. III, 20 marzo 2017, n. 7056), mentre la seconda definisce limpidamente una forma di responsabilità oggettiva, esclusa dal solo caso fortuito.
Non è un caso, del resto, che soltanto l’art. 2054 c.c. richiama il concetto di causazione del sinistro ad opera del mezzo motorizzato (“ il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo …”), essendo l’azione diretta ex art. 141 emancipata da ogni valutazione in punto di causalità e di colpa (“… a prescindere dall’accertamento dell’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro …”).
In altri termini, la vittima di un sinistro stradale, secondo le norme generali sulla responsabilità civile ex art. 2054 c.c., beneficia dell’altrui presunzione di responsabilità; di contro, il diritto risarcitorio del trasportato, sulla base della disposizione eccezionale di cui all’art. 141 c.a.p., non si fonda su alcuna stima in ordine alla colpa del conducente del veicolo antagonista, che, infatti, non deve essere né allegata, né dimostrata ( Cass. civ. sez. III, 30 luglio 2015, n. 16181, correttamente richiamata nella sentenza in discorso, nonché: Cass. civ., sez. III, 30 agosto 2013, n. 19963).
Pertanto, la fattispecie di responsabilità di cui all’art. 141, differenziandosi ontologicamente da quella di cui all’art. 2054 c.c., non può automaticamente sussumersi nella categoria di cui all’art. 283, comma 1, lett. b) e, quindi, beneficiare della tutela risarcitoria offerta dal fondo di garanzia, se non attraverso espedienti interpretativi o, ancor meglio, un’esegesi costituzionalmente orientata, che, in effetti, il giudice foggiano compie.
Nella sentenza in discorso, infatti, si mette in luce l’esigenza, più volte rammentata dalla Corte Costituzionale ( Corte cost. ord., 24 novembre 2010, n. 336; Corte cost. ord., 13 giugno 2008, n. 205), di tutelare il trasportato inconsapevole che il veicolo su cui è a bordo non sia assicurato, da intendersi quale soggetto debole, siccome, al contempo, esposto all’azione potenzialmente lesiva tanto del conducente del mezzo ospitante, quanto dell’automobile antagonista.
L’approccio metodologico appare corretto, postulando l’incidente di costituzionalità l’infruttuosa ricerca di soluzioni costituzionalmente adeguate ( Corte cost., ord. 6 giugno 2008, n. 193; Corte cost. ord. 30 maggio 2008, n. 193; Corte cost., ord. 23 maggio 2008, n. 193; Corte cost. ord. 16 maggio 2008, n. 156; Corte cost. ord. 16 maggio 2008, n. 155; Corte cost. ord. 16 maggio 2008, n. 156; Corte cost. sent. 16 maggio 2008, n. 147).
L’unico argomento adoperato dall’ordinanza in esame, consistente nell’opportuna implementazione della protezione accordata al trasportato, è sufficiente a giustificare la conclusione a cui è addivenuta.
In difetto di una violazione della minima tutela costituzionale garantita al danneggiato (rilevante ai sensi dell’art. 3) o di un’irragionevole disparità di trattamento (significativa a mente dell’art. 24), l’attribuzione al danneggiato di un grado di protezione più o meno elevato rientra nella normale discrezionalità legislativa.
Non può escludersi, tuttavia, che il precedente del Tribunale di Foggia potrà condurre ad un successivo incidente costituzionale.
La seconda considerazione giudiziale meritevole di segnalazione riguarda la non vincolatività degli accertamenti della polizia giudiziaria non fondati su una diretta ed incontrovertibile percezione dei sensi: nella specie, la dichiarazione dei militari, secondo cui il veicolo ospitante il trasportato era assicurato, viene ritenuto priva di fede pubblica, siccome fondato su valutazioni approssimative, oltre che superato dalla produzione di documenti attestanti l’intervenuta risoluzione della polizza assicurativa.
La riflessione del giudice foggiano appare ineccepibile, visto che le valutazioni inerenti la stipulazione e l’efficacia di un contratto assicurativo investono questioni di interpretazione giuridica, tutt’altro che assimilabili o riconducibili ai fatti obiettivi che il pubblico ufficiale può attestare con forza fidefacente. In buona sostanza, la polizia giudiziaria può certificare con fede pubblica se sull’automobile v’è il contrassegno obbligatorio per legge, ma non certo sull’efficacia della polizza assicurativa che ne sta alla base.
La terza statuizione di particolare rilevanza concerne, infine, il regolamento delle spese processuali, con il quale il giudice foggiano ha sanzionato sia l’attrice, responsabile per aver proposto una domanda risarcitoria per l’importo di € 259.910,00, a fronte di un danno accertato per la sola somma di € 15.285,94, sia la convenuta, colpevole per non aver accettato, senza giusti motivi, la proposta transattiva formulata, ex art. 185 -bis c.p.c., dal giudice successivamente al deposito della C.T.U., poi rivelatasi coincidente con la sentenza.
Così, la convenuta è stata condannata al rimborso, in favore dell’attrice, delle spese processuali, ma i compensi d’avvocato per le prime tre fasi del processo (studio, introduttiva, trattazione/istruttoria) sono state liquidate in misura pari alla metà dei valori medi del parametro di riferimento, mentre quelli per la fase decisoria sono stati stimati nella misura massima.
Questa deliberazione appare coerente con il recente orientamento in tema di mancata accettazione della proposta ex art. 185 bis che avrebbe altresì potuto irrogare la diversa, e forse più afflittiva, sanzione ex art. 96 c. 3 c.p.c.